giovedì 20 aprile 2017

Salvatore Quasimodo





Salvatore Quasimodo nacque a Modica, in provincia di Ragusa nel 1901 e trascorse la sua infanzia in vari paesi della Sicilia. Dal 1919 al 1926 visse a Roma e si laureò in ingegneria. Nel 1926 si trasferì a Reggio Calabria. Nel 1929 si trasferì a Firenze e fu introdotto da suo cognato, Elio Vittorini, nell’ambiente letterario e cominciò a pubblicare le sue poesie. Nel 1930 pubblicò la sua prima raccolta: Acque e Terre. Nel 1932 si trasferì a Genova e nel 1934 si spostò a Milano per dedicarsi interamente alla poesia. Nel 1941 iniziò ad insegnare letteratura al conservatorio.   Nel 1959 vinse il Nobel per la letteratura e Morì a Napoli nel 1968. Le opere di Quasimodo spesso sono composizioni di complessa interpretazione poiché la parola perde la sua funzione comunicativa per assumere significati astratti ed ermetici. prevale la sintassi nominale e i sostantivi al plurale e senza l'articolo contribuiscono a creare una ricercata indeterminatezza. temi cari al poeta sono la Sicilia, l'infanzia, gli affetti: il passato assume così contorni mitici, mentre forte resta l'insoddisfazione per il presente. la dolorosa solitudine dell'uomo viene espressa attraverso un lessico musicale e ricercato. dopo l'esperienza della guerra, quasimodo passerà dalla corrente dell' ermetismo, ad un lessico più semplice. la poesia rivolge il suo messaggio di pace e civiltà a tutti gli uomini con un linguaggio più comprensibile diventando strumento concreto di impegno sociale.


Alle fronde dei salici

E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

Parafrasi
Come avremmo mai potuto comporre poesie con l’occupazione straniera che ci pesava nell’animo, in mezzo ai morti abbandonati nelle piazze sull’erba resa dura dal ghiaccio, sentendo i lamenti dei bambini, innocenti come agnelli, il tremendo grido funebre della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Anche le nostre cetre, i simboli della nostra poesia, per un voto, stavano appese sui rami dei salici e oscillavano lievemente al vento portatore di dolore.





Spiegazione
Il componimento riprende il verso del Salmo CXXXVII della Bibbia dove si narra che gli ebrei avevano appeso le loro cetre sui rami dei salici e avevano perso la gioia di cantare perché prigionieri in terra babilonese.
Con il piede straniero sopra il cuore: - metonimia – chiara allusione all’esercito tedesco che aveva occupato l’Italia.
sull’erba dura di ghiaccio: con i morti abbandonati sull’erba (le SS proibivano di seppellire subito i morti delle loro rappresaglie, a monito per la popolazione), resa dura dal ghiaccio (anche la natura sembra prendere parte al dolore del poeta, diventando dura come il ghiaccio - sinestesia).
Lamento d’agnello: enjambement (al lamento/d’agnello) che mette in rilievo l’analogia (metafora) tra il pianto dei bambini, e il belato degli agnelli (nei riti di purificazione dei popoli antichi l’agnello era la vittima innocente), per indicare le sofferenze più crudeli di chi è più debole e indifeso di fronte allo spettacolo della violenza. 
urlo nero: sinestesia che vuole evidenziare la drammaticità della disperazione del grido della madre, che si getta sul figlio torturato (come Cristo crocifisso).
crocifisso sul palo del telegrafo: l’uomo ucciso è rappresentato come un moderno Cristo, il poeta infatti trasferisce su un dato di vita moderna (il palo del telegrafo) il supplizio di Cristo.
fronde dei salici: il salice simboleggia l’albero del pianto.
per voto: in segno di sacrificio, di solenne rinuncia.
le nostre...vento: le cetre, simbolo della poesia sono ora fragili e inutili (lievi: l’aggettivo mira a sottolineare il senso di inutilità) cose in balia del male e del dolore che, come un triste vento (metafora di male e dolore), le portano qua e là.




Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t'ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero,
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.



Parafrasi

Uomo del mio tempo, sei del tutto simile all'uomo passato, colui che cacciava con la fionda e con le pietre. Ti ho visto, eri nell'aeroplano, con le ali cariche di bombe, nel carro armato, al patibolo e alle ruote di tortura. Si eri tu, con il tuo credo perfetto, dedito allo sterminio, senza amore e senza Dio. Tu hai accuso ancora una volta, come fecero gli avi prima di noi. Il sangue è lo stesso, ha lo stesso sapore ed odore del sangue del tradimento di Caino e Abele, quando l'uno uccise l'altro nei campi. E quella frase di tradimento, "Andiamo nei campi", giunge fino a te, fino alla quotidianità della tua giornata. Dimenticate o fogli del nostro tempo, le battaglie, le guerre combattute dai nostri predecessori. Le loro tombe ormai sono abbandonate e disperse nella cenere dell'oblio, e gli uccelli neri ed il vento oscurano il loro cuore.



Commento

La lirica “Uomo del mio tempo”, scritta da Salvatore Quasimodo appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è contenuta nella raccolta “Giorno dopo giorno” del 1947, in cui l’autore invita all’impegno civile. 
La poesia si compone di una sola strofa, divisibile in due grandi sequenze. La prima, la più lunga, elenca tutti gli episodi in cui l’uomo ha usato violenza contro un suo simile. 
All’inizio si fa riferimento alla preistoria e alle lotte fra tribù a colpi di pietra e fionda. Si ricordano poi la Seconda Guerra Mondiale con gli aerei bombardieri e i carri armati, ma anche il Medioevo con le sue torture e le forche per i condannati.


Nell’epoca moderna le conoscenze scientifiche sempre più precise, anche se usate per il genocidio, hanno sostituito i sentimenti e la religiosità, ma non hanno cambiato lo spirito omicida dell’uomo che è sempre stato presente e vivo in tutte le epoche. 

Quasimodo cita il primo omicidio della storia ricordando che già fra i fratelli biblici, Caino e Abele, le gelosie portarono alla uccisione violenta di uno dei due e l’eco delle grida di Abele è ancora presente nel lamento di tutte le vittime.

Negli ultimi quattro versi l’autore supplica gli uomini suoi contemporanei di cambiare e dimenticare i crudeli massacri del passato, a causa dei quali la terra esala sangue e le tombe degli antenati sono sepolte dalla cenere della distruzione, sorvolate da avvoltoi e scosse dal vento che copre i loro sentimenti.

Analisi
La poesia si presenta con un’unica strofa composta da 17 versi liberi senza rime. La lingua è ricca di termini che riportano immediatamente a un periodo storico ben preciso, soprattutto nella prima parte ( “pietra e fionda” v.1 per l’epoca preistorica; “carlinga”, “carro di fuoco”, “scienza esatta” e “sterminio” vv. 2-6 per le Guerre Mondiali; “forche” e “ruote di tortura” ai vv. 4-5 per il Medioevo e L’inquisizione).

figure retoriche 
Molto ricorrente è l’apostrofe, con cui l’autore si rivolge direttamente all’uomo (“uomo del mio tempo” v.2, “t’ho visto” vv.4-5, “ eri tu” v. 5, “o figli” v.14) e l’insistenza sul pronome “tu”, sempre con la funzione di richiamare l’attenzione e la responsabilità dell’essere umano.


Un’analogia apre il componimento “sei ancora…” e un’altra analogia riporta al primo omicidio conosciuto (“ odora come nel giorno / quando il fratello disse all’altro fratello” vv. 10-11).

Simili all’analogia per effetto sono anche le due metafore presenti nella composizione: la prima “meridiane di morte” del v. 3 paragona l’ombra degli aerei da guerra che portano la morte fermando il tempo, con l’ombra della meridiana che segna il passare delle ore; la seconda, “nuvole di sangue”, al v. 14 (che contiene anche un enjambement) denuncia che la terra è talmente impregnata del sangue delle vittime da esalare nuvole rosse.

Un’altra figura di significato che troviamo spesso in questa lirica è la metonimia in cui si sostituisce il contenitore con il contenuto (come in “ali maligne” v. 3 in cui maligno è l’uomo che guida l’aereo e non la macchina stessa), oppure la causa per l’effetto (“scienza votata allo sterminio” v. 3) o ancora l’astratto per il concreto (“gli uccelli, il vento, coprono il loro cuore” in cui il concreto cuore sostituisce l’astratto sentimento).
Tutti questi artifici retorici sono utilizzati per accentuare il concetto chiave dell’opera cioè che l’uomo è premedito con le sue conoscenze scientifiche e tecniche ma che, nell’animo, è rimasto istintivo, crudele e competitivo come alle origini.

Quasimodo scrive il testo appena conclusa la Seconda Guerra Mondiale; egli perciò ha ancora molto vivo il ricordo delle tragedie degli scontri e dell’Olocausto e ha un giudizio molto negativo sull’uomo che definisce “del suo tempo”; proprio per questo egli invita i giovani a scordare completamente l’esempio dei predecessori per costruire qualcosa di nuovo, pacifico e che non porti sofferenza. 
Un suo contemporaneo, Primo Levi, inviterà invece a non scordare mai ciò che è stato per non rischiare di ripetere i medesimi errori e ordinerà addirittura di tramandare ai posteri le crudeltà commesse perché la storia non diventi mai leggenda.

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